Minaccia chiusura Hormuz? Il mercato non ci ha creduto!

Lo Stretto di Hormuz è da decenni un punto caldo della geopolitica energetica. Ogni volta che le tensioni in Medio Oriente si inaspriscono, Iran minaccia di bloccare il passaggio, mettendo a rischio il 20-30% del petrolio globale. Eppure, nonostante le ripetute minacce, un blocco non si è mai verificato.

L’ultima escalation, dopo lo scambio di attacchi tra Israele ed Iran con il coinvolgimento degli USA, ha visto Tehran lanciare dichiarazioni infuocate. I mercati hanno inizialmente reagito con paura portando ad un incremento dei prezzi ma i mercati hanno reagito con un calo dei prezzi di petrolio e gas. Perché? Perché gli investitori sanno che un blocco sarebbe un boomerang per l’Iran stesso.

Ma cerchiamo di capire come mai realmente tale chiusura appare così complicata a livello politico. Guardando a livello geografico l’area, lo stretto ha una larghezza al suo minimo di circa 33 km, ridotto a circa 6km come punto di passaggio navi. Sicuramente non impossibile da bloccare per uno stato come quello iraniano.
Il primo elemento è che un blocco dell’area implicherebbe l’occupazione delle acque territoriali dell’Oman. Un tale movimento comporterebbe l’attivazione del patto di difesa del GCC (Consiglio di Cooperazione del Golfo) aprendo una potenziale guerra con tutti i paesi del golfo.
Nel caso l’Iran voglia muoversi in quella direzione dovrebbe considerare che, oltre l’ira dei grandi importatori mondiali, scatenerebbe una guerra su vasta scala nella regione.

Rappresentazione grafica dell’andamento del prezzo del gas all’Henry Hub nel periodo di apertura del conflitto israelo-iraniano.

Ragioni economico-militari per sfiducia nell’attuazione del blocco

  1. Dipendenza Economica dall’esportazione di Petrolio
    L’Iran esporta una grande quantità di petrolio, gran parte dei quali passano proprio da Hormuz. Bloccare lo stretto significherebbe tagliarsi fuori dal mercato globale, con danni economici insostenibili. Andando a creare problemi ai maggiori clienti, primi fra tutti la Cina;
  2. Risposta militare immediata
    Gli USA e i loro alleati hanno schierato forze navali nella zona per garantire la sicurezza dei traffici. Un blocco scatenerebbe una reazione militare diretta, come già avvenuto negli anni ’80 durante la “Guerra delle Petroliere”.
  3. Mercato già abituato alle minacce vuote
    Dal 1979 a oggi, l’Iran ha minacciato il blocco decine di volte, ma non l’ha mai attuato. I trader sanno che si tratta di retorica politica, e per questo i prezzi del Brent, del WTI e del gas all’Henry Hub hanno avuto un incremento iniziale crollando però dopo breve.
  4. Patto di difesa GCC
    Come spiegato precedentemente, una chiusura dello stretto avrebbe gravi implicazioni nella regione.

Come hanno reagito i mercati dopo la minaccia “vuota”?

Nei giorni scorsi avevamo fatto un articolo parlando di quanto avrebbero potuto apprezzarsi gas naturale e petrolio. Sembra che in realtà, il mercato, abbiamo dato più peso alle considerazioni fatte sopra. Ecco le conseguenze:

  • Petrolio in calo nonostante le tensioni
    Il Brent ha perso circa il 10% nella prima seduta dopo l’inizio della tregua. Guarda quì l’andamento del Brent;
  • Gas Naturale ancora più stabile
    Il gas naturale europeo (hub TTF) il giorno successivo al cessate il fuoco ha perso il 12% (?!) riportandosi in un giorno ai prezzi pre-crisi. In un giorno ha recuperato l’incremento dei 12 giorni precedenti.

Conclusione: perché il mercato non teme (più) Hormuz

Le minacce sullo Stretto di Hormuz sono ormai un copione ripetuto. L’Iran sa che un blocco sarebbe autolesionista, e i mercati lo sanno altrettanto bene.

Finché Teheran dipenderà dalle esportazioni di petrolio e finché le marine occidentali pattuglieranno la zona, Hormuz resterà aperto. E i trader continueranno a vendere al rumore e comprare ai fatti.

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Questo articolo è fornito esclusivamente a scopo informativo e non costituisce consulenza finanziaria. Si consiglia di consultare un professionista qualificato prima di prendere decisioni di investimento.

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